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La solita solfa dell'articolo 18

Puntuale come un orologio svizzero ritorna l'eterno dibattito sull'articolo 18. Ma chi ne fa davvero una bandiera ideologica?

Articolo di Beppe CAPOZZOLO - Coordinamento Fiba Cisl Intesa Sanpaolo Torino e provincia

C'è chi sostiene che l'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori (che prevede la reintegra sul posto di lavoro in caso di licenziamento senza giusta causa né giustificato motivo oggettivo) sia un totem per i sindacati.

 

A me, personalmente, pare che sia un totem - o meglio, una fissa - di qualcuno che vorrebbe semplicemente scardinare ogni diritto dei lavoratori. E, per farlo, si inventa evidenze assolutamente inverosimili.

 

L'ultima modifica all'articolo 18 è avvenuta con il governo Monti. Oggi, infatti, vi è molta più discrezionalità per i giudici del lavoro che possono o meno predisporre la reintegra sul posto di lavoro in caso di licenziamento ingiustificato per motivi economici.

Ricordo i toni trionfalistici del duo Fornero - Monti all'indomani della riforma (che, sostanzialmente, riprende il modello in vigore in Germania). La sola modifica dell'articolo 18 avrebbe portato posti di lavoro a fiotte per gli italiani: c'erano migliaia e migliaia di imprenditori bisognosi di manodopera che, però, evitavano di assumere per timore del vecchio articolo 18.

 

Inutile evidenziare che, nonostante la nuova formulazione della Legge, l'occupazione continui inesorabilmente ad essere un miraggio per molti nostri connazionali.

E infatti, per il secondo trimestre consecutivo, il PIL italiano è tornato a scendere. "Ora basta, è ora di eliminare l'articolo 18 - ha subito tuonato l'instancabile ex ministro Sacconi.

Che è un po' come dire: "ho mal di pancia. Ora basta, accendo la luce".

 

E veniamo ora a qualche dato e qualche considerazione:

 

1. se è vero che l'Italia ha una protezione del posto del lavoro più alta che altri Paesi (e, come vedremo al punto 3, non è proprio così), è innegabile che l'Italia abbia molti meno ammortizzatori sociali rispetto agli standard europei. Ad esempio, assieme alla Grecia, siamo l'unico Stato dell'Unione che non garantisce un reddito minimo ai propri cittadini.

Ad esempio, l'ex ministro Fornero, aveva dichiarato di voler contemporaneamente ridurre le tutele reali dell'articolo 18 ma introdurre un reddito minimo, per permettere la sopravvivenza dignitosa di chi si ritrovasse licenziato. Peccato che un pezzo se lo sia perso per strada (chissà quale dei due...).

 

2. L'idea che in Italia sia impossibile licenziare è assolutamente una bufala. La legge, come è ovvio che sia, permette di ridurre l'occupazione sia per motivi soggettivi (collaboratore che rubi, ad esempio) sia per motivi oggettivi (crisi economica). Quello che l'articolo 18 va a tutelare è il licenziamento ingiustificato. Ad esempio perché l'imprenditore licenzia fingendo una crisi economica per poi assumere il giorno dopo un altro dipendente.

 

3. La rigidità del mercato del lavoro italiano non è affatto eccessiva. Anzi, risulta addirittura più bassa della media OCSE. Il dato tedesco, ad esempio, indica una rigidità all'uscita quasi doppia rispetto a quella nostrana. Eppure, mistero dei misteri, ciò nonostante l'economia tedesca viaggia un po' (ma giusto un pelo) meglio di quella italiana...

 

4. Se gli imprenditori fossero così terrorizzati dall'articolo 18 (che, ricordiamo, scatta solo per le imprese superiori ai 15 dipendenti) sarebbe lecito immaginarsi un'accumulazione straordinaria di aziende con 15 collaboratori. Imprenditori che assumerebbero volentieri una o due persone in più ma, per paura di incappare nell'articolo 18, evitano rinunciando così a creare occupazione e crescita.

Ora...quanti di noi hanno mai sentito fare un discorso di questo genere a un imprenditore? Se non bastasse l'evidenza empirica, vi rimandiamo a questo interessante articolo pubblicato su www.lavoce.info un paio di anni fa, dove si dimostra che non vi è alcun addensamento particolare sui 15 dipendenti. Quindi, per quanto a Sacconi non importi nulla se non della sua ideologia, anche eliminando del tutto l'articolo 18 il dramma della disoccupazione rimarrebbe invariato.

 

5. Se si eliminasse l'articolo 18, è chiaro che ogni lavoratore sarebbe trasformato di fatto in un precario, licenziabile a piacimento del datore di lavoro. Chi, ad esempio, troverebbe il coraggio di denunciare una situazione di pericolo per la salute e la sicurezza se rischia di esser lasciato a casa dall'oggi al domani? Mi si obietterà: ma la reintegra rimarrebbe intatta per i licenziamenti discriminatori.

Verissimo, peccato che la discriminazione vada provata dal licenziato. E dubito che un datore di lavoro licenzi una persona giustificandola con motivi discriminatori!

 

6. Non esiste alcuna correlazione tra scarsa protezione del lavoro e aumento di crescita o benessere collettivi, considerato che tra i Paesi con una protezione più alta della nostra vi sono, analizzando i dati OCSE, nazioni come la Svezia, la Germania o l'Olanda. Non proprio Paesi arretrati. 

 

Sarebbe interessante che, chi combatte indefessamente per l'abolizione della tutela reale ci spiegasse quali vantaggi in termine di benessere collettivo ne otterremmo. A meno che l'interesse da perseguire non sia quello di qualcuno soltanto. Magari dei soliti noti.

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