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Il whistleblowing: cos'è? Come è normato?

Una direttiva europea di 2 anni fa obbliga gli stati membri a tutelare, nell'ambito dei servizi del credito, i lavoratori che segnalano comportamenti scorretti o frodi.

Articolo della Redazione su analisi di Domenico IODICE  e Andrea SCAGLIONE della First Cisl Nazionale

Whistleblowing letteralmente significa "soffiare nel fischietto". Il whistleblower è dunque colui che "fa una soffiata", potremmo dire in italiano.

 

Da anni le legislazioni di Stati Uniti e Gran Bretagna tutelano il lavoratore che, nell'ambito della sua attività, denuncia attività e pratiche scorrette, che possano danneggiare l'Azienda, gli azionisti, i colleghi o i clienti.

 

La Direttiva 2013/36/UE obbliga tutti gli stati membri ad adottare misure per favorire il fenomeno del whistleblowing. Il nostro governo ha recepito la direttiva nel D. Lgs. 12 maggio 2015, n. 72.

Leggendo lo striminzito articolato italiano (sopratutto se paragonato ai 107 "considerando" della Direttiva europea), si ha l'impressione che il legislatore si sia limitato a svolgere il compitino, senza credere davvero nell'importanza del whistleblowing.

 

Innanzi tutto, la legge italiana stabilisce che sia la Banca d'Italia a dover emanare le specifiche normative di dettaglio, senza una consultazione delle parti sociali né paletti particolari assegnati dall'articolato. Inoltre, nell'attesa della Banca d'Italia, viene previsto che le singole Aziende possano predisporre una normativa interna a riguardo.

Ancora, mentre la Direttiva Europea afferma - con gran lungimiranza - che la concreta regolamentazione del "canale specifico e autonomo" del whistleblowing "può essere fornito anche mediante dispositivi previsti dalle parti sociali", il nostro legislatore si è dimenticato (dimenticato?) di inserire questa clausola nel recepimento della legge di Bruxelles.

 

Entriamo ora nel dettaglio delle tutele previste per chi dovesse segnalare atti o comportamenti gravi e scorretti all'interno di un'Impresa, che sono la riservatezza, la tutela contro i comportamenti ritorsivi e l'irresponsabilità contrattuale e disciplinare. 

 

1) Riservatezza. Si impone all'azienda un trattamento accurato dei dati personali del segnalante e del presunto responsabile della violazione, evitandone la divulgazione e la diffusione all'interno o all'esterno dell'azienda. E' estranea alla disciplina della riservatezza la circostanza di indagini o i procedimenti avviati dall’autorità giudiziaria in relazione ai fatti oggetto della segnalazione: la sola autorità giudiziaria dispone, nella fattispecie, di poteri che superano il vincolo di riservatezza aziendale imponendo, anzi, alle società obblighi di piena collaborazione.

 

2) Tutela contro i comportamenti ritorsivi. Si prevede una maggiore produzione verso i comportamenti ritorsivi o comunque sleali, da parte dell'azienda (ad esempio in caso di segnalazioni concernenti fatti la cui consistenza materiale o giuridica non risultasse confermata, ovvero riguardasse prassi tacitamente tollerate). Questa norma costituisce un rafforzamento della disciplina generale, facilitando sotto il profilo probatorio l'onere (che incombe al lavoratore) di argomentare e documentare, in giudizio, la discriminazione subita. La circostanza di avere prodotto una segnalazione di whistleblowing storicamente collocabile prima di una serie di angherie subite senz'altro facilita al lavoratore la prova del rapporto di causa-effetto tra circostanze fattuali e dunque agevola la prova dell'intento ritorsivo.

 

3) Irresponsablità contrattuale e disciplinare. La legge precisa che “la segnalazione non costituisce di per sé violazione degli obblighi derivanti dal rapporto di lavoro”. Ciò significa che l'oggettiva inconsistenza dei fatti materiali e giuridici denunciati di per sé non è mai imputabile al lavoratore che abbia in buona fede segnalato una presunta infrazione. Viceversa, qualora venisse acclarato in modo incontrovertibile (ad esempio in giudizio) che l'atto di denuncia sia stato realizzato esclusivamente per fine ritorsivo o comunque di danno alla persona, tale circostanza costituirebbe autonoma e diversa fonte di responsabilità per il denunziante.

 

Infine, di particolare ed efficace impatto è la previsione del quarto comma dell'art. 52-bis, che garantisce che “l’identità del segnalante può essere rivelata solo con il suo consenso o quando la conoscenza sia indispensabile per la difesa del segnalato”.

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