Contratto unico: di cosa si tratta?
Come funzionerebbe il contratto unico? Che novità introdurrebbe rispetto all'attuale mercato del lavoro italiano?

Nelle ultime settimane si sente spesso di parlare di job act, dopo la proposte del neo segretario del Partito Democratico, Matteo Renzi.
Una delle proposte più citate è quella del contratto unico. Ma di cosa si tratta?
I primi a teorizzare il contratto unico a tempo indeterminato sono stati due economisti: Pietro Garibaldi, professore dell’Università di Torino, e Tito Boeri, professore dell’Università Bocconi di Milano (in foto) nel loro libro “Un nuovo contratto per tutti”, edito da Chiarelettere nel 2008.
I due docenti partono dalla situazione attuale del mercato del lavoro italiano, ossia una miriade di tipologie contrattuali (44!) che di fatto si possono sintetizzare con una sola parola: precarietà! Infatti, esistono moltissimi contratti (co.co.pro., staff leasing, finte partite iva, lavoro intermittente, ecc.) che non danno al lavoratore la minima tutela né sul licenziamento né su diritti elementari quali, ad esempio, malattia, ferie o maternità.
Garibaldi e Boeri propongono, invece, un nuovo contratto unico a tempo indeterminato a tutele crescenti. Il contratto si dividerebbe in due fasi: la prima – di inserimento – della durata triennale seguita poi dalla fase di stabilità. Durante la fase di inserimento non si applicherebbe al lavoratore la tutela reale prevista dall’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori: significa che – tranne per i licenziamenti di natura discriminatoria – durante i primi tre anni il datore può interrompere il rapporto semplicemente con un indennizzo economico crescente: due settimane di indennità ogni tre mesi di lavoro effettuato. Per fare un esempio, licenziare dopo sei mesi costerebbe una mensilità. Dopo i tre anni di inserimento, il costo del licenziamento arriverebbe a 6 mensilità.
Superati i tre anni, nella fase di stabilità l’articolo 18 tornerebbe alla sua piena applicabilità, garantendo la reintegra nei casi di licenziamenti senza giusta causa o giustificato motivo.
Rispetto al “contratto di inserimento” migliore che esiste attualmente nel panorama italiano – ossia l’apprendistato – il contratto unico avrebbe il grandissimo vantaggio di non applicarsi soltanto agli under 30, ma a tutti i lavoratori. Inoltre, se è vero che durante la durata dell’apprendistato il datore di lavoro non può procedere al licenziamento, è altresì vero che alla scadenza l’apprendista può essere licenziato senza alcun motivo e senza alcun indennizzo economico!
Nell’idea di Boeri e Garibaldi i contratti atipici non dovrebbero sparire, ma essere resi meno competitivi dallo Stato, ad esempio accrescendo gli oneri sociali dovuti (cosa in parte avvenuta nell’ultima riforma Fornero). In questo modo, saranno le imprese a scegliere il contratto unico non perché imposto, ma semplicemente perché più conveniente. Se l’azienda volesse poi confermare a tempo indeterminato un lavoratore entrato attraverso una forma di contratto atipica, non potrebbe avvalersi della fase di inserimento: si passerebbe direttamente alla fase di stabilità, con l’articolo 18 in piena validità.
Secondo i due economisti, accanto al contratto unico a tutele crescenti, andrebbero attuate altri due provvedimenti: il salario minimo e un’indennità di disoccupazione minima rivolti a tutti. Ancora oggi, effettivamente, l’Aspi è limitata sia per quanto riguarda la platea sia – soprattutto – sull’importo e sulla durata, assolutamente insufficienti.
Oltre a Tito Boeri e Pietro Garibaldi, altri influenti pensatori economici e politici hanno effettuato delle loro proposte sull’idea del contratto unico. Ad esempio Pietro Ichino sarebbe per l’abolizione tout court della reintegra prevista dall’articolo 18, mentre Marco Leonardi e Massimo Pallini propongono di inserire un tentativo di conciliazione prima di arrivare dal giudice.
Io sono assolutamente contrario all’eliminazione o a qualsiasi depotenziamento della tutela reale. Se è vero che durante i primi tempi è legittimo che il datore di lavoro debba conoscere il suo dipendente ed eventualmente poter decidere che non è adatto alla sua azienda, ritengo altresì vero che solo l’obbligo della reintegra possa evitare uno “spargimento di sangue” di licenziamenti ad nutum (senza motivi).
Personalmente non credo che il contratto unico di Garibaldi e Boeri sia la manna dal cielo, la cura di tutti i mali del mercato del lavoro italiano, ma rappresenterebbe indubbiamente un miglioramento rispetto alla condizione attuale, dove solo un nuovo contratto su sette è a tempo indeterminato!
Articolo di Beppe CAPOZZOLO - coordinamento Fiba Intesa Sanpaolo Torino e Provincia